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Quando la pratica è solo una tattica di evasione?
Qualche riflessione scomoda sul potenziale e il valore di una pratica autentica.
Recentemente mi sono soffermata a pensare in maniera molto più approfondita sul perché in certi casi può avvenire che la pratica dello yoga non porti davvero trasformazione profonda.
L’idea che questa antica disciplina spirituale indiana sia un potentissimo veicolo di evoluzione umana, sotto il punto di vista spirituale in primis, ma anche di quello fisico, mentale e psicologico, è insita in ogni approccio alla disciplina stessa, sia che si tratti di una tradizione autenticamente radicata nella storia culturale del suo paese d’origine, l’India, che delle sue evoluzioni contemporanee in occidente.
Purtroppo però, molto spesso, nel mio cammino mi è capitato di imbattermi in circostanze -sia a livello della mia pratica personale, che di quella di altri- in cui la pratica si è dimostrata essere spesso soltanto una strategia adattiva (meccanismo di coping) o nella peggiore delle ipotesi, una vera e propria tattica per fuggire dall’autentico confronto con sé stessi.
Vediamo il perché.
Cosa intendo con la parola trasformazione
Sono un’amante dell’etimologia per mia deformazione esistenziale (!), e mi piace partire dal cosa significhino e da dove arrivino le parole. La parola viene dal latino transformationis: il suffisso trans significa oltre, al di là di, e viene collegato al verbo formare, che si può tradurre con dare forma, formare, creare. Quindi, etimologicamente, si intende l’azione di creare una nuova forma oltre a quella che esiste nel presente. Andare oltre, superare.
Io sono profondamente convinta che la trasformazione faccia parte dell’esperienza umana in quanto tale e che chiunque è intrinsecamente capace di cambiare se stesso, accade anche senza che lo vogliamo, per attualizzarci in una versione di noi libera da ciò che ci impedisce di stare veramente bene. In poche parole, la trasformazione implica un processo di integrazione di ciò che inconscio e sommerso, che spesso ci pilota con ciò che già funziona ed è positivo in noi. Aggiungo che credo che questo possa avvenire molto più facilmente con la creazione di nuove pratiche, o abitudini, che danno vita al cambiamento. Quanto più si ripetono nuove modalità (di muoversi, di comportarsi, di respirare, di rivolgerci a noi stessi e che ci tengono ancorate al presente), tanto è più facile e veloce il cambiamento.
Per chi muove i primi passi
Hai presente quella sensazione di benessere diffuso che provi alla fine delle prime lezioni di yoga (ma anche quelle successive o di qualsiasi altra disciplina che mira a unificare l’esperienza di corpo e mente)?
Ecco questo, a rigore, dovrebbe essere il motivo che ti spinge a tornare e a fare di questo immenso repertorio di tecniche, che vanno dal movimento alla respirazione, un alfabeto per costruire il tuo linguaggio unico del benessere.
Purtroppo però, il grande supermarket al quale il praticante inesperto si trova davanti e la enorme mercificazione di questa disciplina così come tutto il benessere in generale, specialmente in occidente, non aiutano a scegliere e intraprendere un cammino costante, a creare quella che in gergo si chiama “pratica”. L’ansia di provare ancora una nuova modalità, che promette miracoli, o un nuovo modo di respirare o una asana sempre più complessa, ci pone davanti ad una enorme confusione nei migliori dei casi, oppure nei peggiori ci mette nelle mani di persone senza scrupoli (e spesso purtroppo anche senza alcuna cognizione di causa!) che ci manipolano per farci comprare l’ultimo miracoloso ritrovato per l’agognato benessere.
Spesso, anche gli insegnanti in buonissima fede non spingono gli allievi a crearsi una vera e propria autonomia nella pratica; e gli allievi si adagiano nel comfort del farsi sempre guidare, senza trovare nuove soluzioni per se stessi, basate veramente sui segnali che il proprio corpo manda.
Ovviamente non c’è nulla di nocivo nel frequentare una o due classi alla settimana di yoga come un qualsiasi altro corso di fitness. A livello fisico fa benissimo, ma di sicuro questo approccio un po’ consumistico non porta alla vera trasformazione.
La soluzione? Provare, lentamente, a costruirci un momento quotidiano in cui fare nostre le pratiche, guidati da un* insegnante che sappia aiutarci in questo scopo. Ricordando che anche sedendosi su una sedia a respirare consapevolmente per 15 min al giorno è fare yoga…ma soprattutto ricordandoci, come ho scritto sopra, che per la trasformazione è necessario praticare qualcosa molte volte per incarnarlo ed attualizzarlo.
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la mia mini-guida introduttiva in italiano sullo yoga per il trauma
Recentemente mi sono soffermata a pensare in maniera molto più approfondita sul perché in certi casi può avvenire che la pratica dello yoga non porti davvero trasformazione profonda.
L’idea che questa antica disciplina spirituale indiana sia un potentissimo veicolo di evoluzione umana, sotto il punto di vista spirituale in primis, ma anche di quello fisico, mentale e psicologico, è insita in ogni approccio alla disciplina stessa, sia che si tratti di una tradizione autenticamente radicata nella storia culturale del suo paese d’origine, l’India, che delle sue evoluzioni contemporanee in occidente.
Purtroppo però, molto spesso, nel mio cammino mi è capitato di imbattermi in circostanze -sia a livello della mia pratica personale, che di quella di altri- in cui la pratica si è dimostrata essere spesso soltanto una strategia adattiva (meccanismo di coping) o nella peggiore delle ipotesi, una vera e propria tattica per fuggire dall’autentico confronto con sé stessi.
Vediamo il perché.
Cosa intendo con la parola trasformazione
Sono un’amante dell’etimologia per mia deformazione esistenziale (!), e mi piace partire dal cosa significhino e da dove arrivino le parole. La parola viene dal latino transformationis: il suffisso trans significa oltre, al di là di, e viene collegato al verbo formare, che si può tradurre con dare forma, formare, creare. Quindi, etimologicamente, si intende l’azione di creare una nuova forma oltre a quella che esiste nel presente. Andare oltre, superare.
Io sono profondamente convinta che la trasformazione faccia parte dell’esperienza umana in quanto tale e che chiunque è intrinsecamente capace di cambiare se stesso, accade anche senza che lo vogliamo, per attualizzarci in una versione di noi libera da ciò che ci impedisce di stare veramente bene. In poche parole, la trasformazione implica un processo di integrazione di ciò che inconscio e sommerso, che spesso ci pilota con ciò che già funziona ed è positivo in noi. Aggiungo che credo che questo possa avvenire molto più facilmente con la creazione di nuove pratiche, o abitudini, che danno vita al cambiamento. Quanto più si ripetono nuove modalità (di muoversi, di comportarsi, di respirare, di rivolgerci a noi stessi e che ci tengono ancorate al presente), tanto è più facile e veloce il cambiamento.
Per chi muove i primi passi
Hai presente quella sensazione di benessere diffuso che provi alla fine delle prime lezioni di yoga (ma anche quelle successive o di qualsiasi altra disciplina che mira a unificare l’esperienza di corpo e mente)?
Ecco questo, a rigore, dovrebbe essere il motivo che ti spinge a tornare e a fare di questo immenso repertorio di tecniche, che vanno dal movimento alla respirazione, un alfabeto per costruire il tuo linguaggio unico del benessere.
Purtroppo però, il grande supermarket al quale il praticante inesperto si trova davanti e la enorme mercificazione di questa disciplina così come tutto il benessere in generale, specialmente in occidente, non aiutano a scegliere e intraprendere un cammino costante, a creare quella che in gergo si chiama “pratica”. L’ansia di provare ancora una nuova modalità, che promette miracoli, o un nuovo modo di respirare o una asana sempre più complessa, ci pone davanti ad una enorme confusione nei migliori dei casi, oppure nei peggiori ci mette nelle mani di persone senza scrupoli (e spesso purtroppo anche senza alcuna cognizione di causa!) che ci manipolano per farci comprare l’ultimo miracoloso ritrovato per l’agognato benessere.
Spesso, anche gli insegnanti in buonissima fede non spingono gli allievi a crearsi una vera e propria autonomia nella pratica; e gli allievi si adagiano nel comfort del farsi sempre guidare, senza trovare nuove soluzioni per se stessi, basate veramente sui segnali che il proprio corpo manda.
Ovviamente non c’è nulla di nocivo nel frequentare una o due classi alla settimana di yoga come un qualsiasi altro corso di fitness. A livello fisico fa benissimo, ma di sicuro questo approccio un po’ consumistico non porta alla vera trasformazione.
La soluzione? Provare, lentamente, a costruirci un momento quotidiano in cui fare nostre le pratiche, guidati da un* insegnante che sappia aiutarci in questo scopo. Ricordando che anche sedendosi su una sedia a respirare consapevolmente per 15 min al giorno è fare yoga…ma soprattutto ricordandoci, come ho scritto sopra, che per la trasformazione è necessario praticare qualcosa molte volte per incarnarlo ed attualozzarlo.
Per il praticante “esperto” oppure l’insegnante
Qui parto subito con un piccolo disclaimer: quando scrivo esperto non mi riferisco ad un sistema di livelli come quello da palestra dove quanto più sei abile fisicamente, tanto più sei esperto. Mi riferisco a chi riesce a praticare in autonomia e soprattutto preciso che la pratica personale non ha nessuna connotazione di avanzamento su una scala di valore scolastico e positivista. Ricordo, ai fini di questo discorso, il secondo Yoga Sutra di Patañjali, “Yogaś-citta-vṛtti-nirodhaḥ”: lo yoga è la cessazione delle fluttuazioni della mente, sia inteso come la pratica per arrivarci che l’obiettivo stesso.
Coloro i quali sono stati capaci, col tempo, di crearsi un’abitudine alla pratica che radica nel Presente hanno certamente un vantaggio: l’azione ripetuta nel tempo, la costanza, la disciplina, l’impegno, tutti ingredienti fondamentali per la trasformazione. Così come la presenza stessa.
Però capita molto spesso (e lo dico per esperienza diretta) che quell’insieme di azioni ripetute diventino il fine stesso e non portino a fare nessuno sforzo di integrare l’inconscio, il nostro lato sommerso. Stare 10 giorni in silenzio a meditare non ha nessuna efficacia se questa esperienza non viene assorbita e sfruttata per osservare a tu per tu il proprio lato ombra, portandolo alla luce. Dovremmo provare ad utilizzare queste esperienze per diventare in grado di svincolarci dal potere che le nostre ombre hanno su come ci comportiamo nelle situazioni che la vita ci presenta. In alcuni casi, queste pratiche costituiscono una fuga e molto spesso diventano addirittura lo scopo stesso della vita stessa: facili strumenti che ci permettono sì di vivere da uno stato di maggiore calma e centratura, ma non ci fanno veramente capire chi siamo e perché ci comportiamo in un certo modo. Diventando inconsapevolmente nocivi sia per noi stessi, che a volte anche per le persone con cui interagiamo, perché la nostra pratica viene approcciata come fine a sè stessa.
Ora…so che questa mia dichiarazione potrebbe innescare un senso di fastidio oppure di disaccordo, ma cosa ti sta dicendo quello stesso fastidio che provi?
Il mio consiglio è di costruirti un repertorio vasto di strumenti per ancorarti nel Presente e regoli il tuo sistema nervoso e che sia in grado di farti capire anche come scardinare certi meccanismi. Certo, le sole pratiche somatiche non riescono completamente a modificare i nostri strumenti cognitivi e di pensiero, ma possono essere utilizzate come torcia per andare alla ricerca dei nodi, nel corpo, e di portarli alla luce. Per darci la forza di affrontarli, e assegnare loro un significato che abbia senso per noi.
Ovviamente qui nessuno sta buttando via l’enorme potenziale di trasformazione dello Yoga, ma vedo troppo spesso persone adagiarsi nella propria pratica come zona di comfort senza andare fino alla radice dei propri problemi. Hai presente come scegliamo sempre le forme e le pratiche che ci donano piacere: questo è edonismo e ha a dir poco nulla in comune con la trasformazione. Se da un lato la ripetizione è fondamentale, se non la usiamo come strumento evolutivo ma ci fermiamo alla ripetizione stessa, che cambiamento pretendiamo di vedere?
Attenzione!! Non sono assolutamente qui a dire che se vuoi puoi smettere di praticare…anzi, ti sto invitando a portare una consapevolezza ancora più profonda nella tua pratica, una consapevolezza che ti doni piacere e felicità, ti offra luce ed espansione, certamente, ma che ti offra l’incredibile opportunità di guardare le tue ombre con compassione, per poterle portare a galla nel tuo stato di coscienza. Ed eventualmente, un respiro dopo l’altro, trasformarle in strumenti di forza.
Questo è il più grande dono che lo Yoga ti può offrire.